
Il “rumore bianco” è un suono costante e uniforme che contiene tutte le frequenze udibili con la stessa intensità. Viene spesso utilizzato per mascherare rumori fastidiosi al fine di favorire la concentrazione o il sonno. È anche il titolo dell’ottavo romanzo dello scrittore statunitense Don Delillo, White Noise, pubblicato nel 1985, grande classico della letteratura postmodernista.
La famiglia Gladney: microcosmo disgregato della società
Il romanzo è ambientato nella fittizia cittadina di Blacksmith, nel Midwest americano, e si struttura come un breve spaccato della vita dei Gladney. Unità miscellanea (composta da padre, madre e quattro figli) che riflette la disgregazione dell’organismo sociale più elementare, la famiglia. Quest’ultima, infatti, è scissa in membri isolati e separati incapaci di comunicare tra di loro. Genitori e figli sono irrimediabilmente lontani, ciascuno è un atomo a sé stante che affronta per proprio conto ansie e contraddizioni della società postmoderna.
Incomunicabilità e silenzio
L’incomunicabilità viene trasmessa principalmente attraverso l’espediente di dialoghi frammentati e surreali. Privi di un qualsivoglia terreno comune e in cui pure le nozioni più semplici vengono messe in discussione, sintomo di una società fluida e instabile che ha smarrito le proprie certezze. Altrove è il silenzio a far da padrone. Come in occasione dei pasti serali dove i Gladney sono soliti consumare cibo spazzatura senza pensare a nient’altro che al prossimo morso:
«Mi fermai in un posto specializzato in porzioni di pollo e dolcetti al cioccolato. Decidemmo di mangiare in macchina. Per le nostre esigenze era sufficiente. Avevamo intenzione di mangiare, non di guardare chi c’era intorno a noi. Volevamo riempirci lo stomaco e basta. Non avevamo bisogno di luce e spazio. Né certamente avevamo bisogno di star seduti gli uni di fronte agli altri mentre mangiavamo, elaborando un sottile e complesso reticolo di segnali e codici. Ci andava bene di mangiare tutti rivolti nella stessa direzione, guardando soltanto pochi centimetri più in là delle mani. Vi era una sorta di rigore, in tutto questo. Denise portò alla macchina la roba da mangiare e distribuì i tovaglioli di carta. Ci disponemmo a mangiare. Mangiammo completamente vestiti, con tanto di cappello e cappotto, senza parlare, attaccando le porzioni di pollo con mani e denti. C’era un’atmosfera di intensa concentrazione, le menti concentricamente volte verso un’unica irresistibile idea. Fui sorpreso di scoprire che tremenda fame avessi. Masticavo e mangiavo, guardando soltanto pochi centimetri oltre le mani. È così che la fame restringe il mondo. È questo il limite dell’universo alimentare osservabile».
Jack Gladney e gli Hitler studies
Il protagonista del romanzo – nonché voce narrante – è il padre, Jack Gladney, professore universitario che ha raggiunto una fama internazionale per aver introdotto in America gli Hilter studies. Jack, sempre protetto dai suoi occhiali scuri e dalla sua toga nera, ha trasformato Hitler in un vero e proprio oggetto di studio. Istituendo un intero dipartimento per analizzare il pensiero e le azioni del gerarca nazista, simbolo di quella cultura di massa che rende nobile ciò che non lo è solamente per via della sua popolarità. E così anche Elvis Presley assurge a materia elevata d’insegnamento. Ulteriore esempio di una cultura svuotata del suo effettivo valore e ridotta a merce dozzinale. Hitler ed Elvis diventano oggetto di culto accademico per il loro status di figure iconiche della cultura pop, che incarnano potere e morte e che tanto affascinano l’immaginario collettivo, concrete declinazioni dell’ossessione americana verso la celebrità.
Il rumore bianco come condizione esistenziale
La famiglia Gladney è immersa in una società consumistica dominata dal “rumore bianco” presente nel titolo, che comprende tutti quei rumori di fondo che pervadono la vita quotidiana dei personaggi – quali radio, televisione, elettrodomestici, il ronzio delle fabbriche, il rombo del traffico – quel flusso incessante di segnali e stimoli, di “onde e radiazioni” (titolo della prima parte del romanzo) che anestetizzano la mente dell’individuo. È un mondo filtrato dai media e dalla tecnologia. Talmente sovraccarico di informazioni che il confine tra realtà e rappresentazione si incrina, e la prima si annulla totalmente nel suo “simulacro”.
La realtà come simulacro secondo Baudrillard
In una sua copia che non ha più nulla di autentico: la realtà non viene più percepita in maniera diretta. Si produce così una disconnessione tra l’essere umano e il significato immediato delle cose (teoria del filosofo francese Jean Baudrillard). L’importanza e la veridicità degli eventi viene legittimata non tanto dall’esperienza sensoriale ma dai notiziari trasmessi in radio o in televisione. Da cui si diffonde una massa abnorme e confusa di dati che preclude la possibilità di una conoscenza oggettiva del reale.
Il vero rumore è la paura della morte
Questo è il rumore bianco: un sottofondo continuo che distrae, confonde, aliena, e che permette di mascherare quel rumore angosciante che fa sempre più breccia nella vita di Jack e della moglie, Babette, e che non è altro che la paura della morte. La tematica portante del romanzo di Delillo. Questa paura è il grande nemico di Jack Gladney, che tenta in tutti i modi di camuffarla o rimuoverla fino al sopraggiungere di un evento tossico aereo. Ovvero the airborne toxic event, una fuoriuscita di una sostanza chimica pericolosa, il Nyodene D, a cui viene esposto lo stesso Jack. Ciò lo obbliga a confrontarsi con la consapevolezza della propria mortalità.
Morte postmoderna e perdita di senso
Quello che lo terrorizza è l’esperienza della morte contemporanea, una morte sintetica, artificiale, disumanizzante. Una morte che ha perso completamente la sua antica dimensione sacrale e che coglie l’individuo all’improvviso, solo, ai margini della società. Una morte causata da un agente tossico è una morte invisibile, astratta, incomprensibile e, di conseguenza, priva di senso. Per questo motivo la possibilità di morire getta il protagonista in uno stato di ansia e paranoia, tipico della condizione umana della postmodernità. Caratterizzata da una crisi epistemologica e dalla fine di quelle che Lyotard ha definito “grandi narrazioni” (grands récits).
Il tramonto delle grandi narrazioni
Le grandi narrazioni sono sistemi di pensiero, ideologie di origine settecentesca ed ottocentesca che avevano la pretesa di dare una spiegazione ottimistica, univoca della realtà. Quale il progresso lineare della scienza e della storia. Nell’epoca postmoderna la credibilità di tali narrazioni viene meno. Non c’è più una verità assoluta e l’individuo, non avendo più saldi punti di riferimento, si perde nel caos e si aggrappa disperatamente alle pseudoscienze, oggetto di grottesca satira da parte di Delillo.
Pseudoscienze, Dylar e superstizioni moderne
Le pseudoscienze sono una risposta facile alla nostra necessità di credere in qualcosa di fronte a un mondo che non possiamo più leggere attraverso categorie certe e condivise. Sono dispositivi di auto-inganno fondamentali per neutralizzare i nostri timori, come la pillola sperimentale Dylar che dovrebbe eliminare la paura della morte e che produce esiti infausti nel matrimonio tra Jack e Babette. Tutte le loro azioni possono essere lette come uno scongiuro contro l’angoscia della morte. Per far fronte ad essa i personaggi si avvalgono di strumenti di difesa quali il comprare compulsivo e la lettura dei necrologi. Un vero e proprio rituale di sopravvivenza che risponde al loro bisogno di controllare l’incontrollabile, permettendo di affrontare la morte secondo una metodologia logica e statistica.
La morte come spettacolo
Un altro modo per interfacciarsi con la morte evitando l’intromettersi dell’angoscia è tramite il medium televisivo, che la spettacolarizza e la trasforma in un oggetto di consumo e di intrattenimento: la morte diventa un fenomeno mediatico, banalizzato e normalizzato, facente parte di quella cultura del sensazionalismo tanto cara al pubblico americano. E la famiglia Gladney se ne sta comoda sul divano desiderando vedere crimini sempre più efferati, incendi sempre più distruttivi, terremoti sempre più violenti: «Di quando in quando abbiamo bisogno di una catastrofe per spezzare l’incessante bombardamento dell’informazione. […] Parole, immagini, numeri, fatti, grafici, statistiche, macchioline, onde, particelle, granellini di polvere. Soltanto le catastrofi attirano la nostra attenzione. Le vogliamo, ne abbiamo bisogno, ne siamo dipendenti. Purché capitino da un’altra parte».
Scienza svuotata di senso e illusione della fede
Il crollo delle grandi narrazioni di cui parla Lyotard si manifesta anche, all’interno del romanzo, nella rappresentazione di una scienza svuotata di senso e che non può più garantire supporto all’individuo. Jack si rivolge a medici e dottori che non fanno altro che inserire dati a profusione nei loro computer ottenendo numeri e asterischi a cui non sanno attribuire un significato certo. Pure la scienza, dunque, si disperde in una sequenza di parole astratte e di codici; non è più una forza chiarificatrice ma è parte di quel rumore bianco che genera solamente disorientamento ed ansia.
Solo la religione sembra ancora offrire un’ancora di salvezza, ma si tratta di una salvezza apparente, come constaterà Jack nel dialogo finale con Suor Hermann Marie, che gli rivela quanto la fede sia un benefico inganno, una finzione necessaria per mantenere viva l’illusione per gli altri, che scovano nella religione un rifugio per affrontare la morte con serenità:
«È il nostro compito nel mondo, credere in cose che nessun altro prende sul serio. Abbandonando tali credenze, il genere umano morirebbe. È per quello che siamo qui. Una minuscola minoranza. Per dare corpo a vecchie cose, vecchie credenze. Diavolo, angeli, paradiso, inferno. Se non fingessimo di crederci, il mondo andrebbe a rotoli».
La morte come rumore bianco definitivo
Ogni secondo dell’esistenza dei Gladney viene riempito con immagini, pubblicità, notizie, tutto quel rumore bianco dall’effetto narcotizzante e che serve a nascondere il silenzio terrificante della morte. Ma la morte non ha bisogno di rumore, è il rumore stesso, cronico, sordo e diffuso: il rumore bianco altro non è che la morte che parla sottovoce tutto il tempo e che non dà mai tregua, un sottofondo costante che divora d’angoscia Jack e Babette. E i loro tentativi di esorcizzare e rimuovere la paura della morte sono destinati al fallimento.
Il supermercato come nuovo tempio
I personaggi rimangono quindi intrappolati nel loro vuoto esistenziale, con questo sussurro impercettibile che li perseguiterà per tutta la vita mentre percorrono i corridoi del supermercato – che nel romanzo non è solo un luogo in cui fare la spesa, ma è un tempio carico di codici e messaggi nascosti da decifrare ed in cui il consumismo moderno prende il posto delle religioni tradizionali – venendo schiacciati da un bombardamento continuo di segni e suoni.
Conclusione del romanzo
E così si conclude il romanzo: «Le casse sono attrezzate di cellule fotoelettroniche, che decodificano i segreti binari di ogni articolo, senza fallo. È il linguaggio delle onde e delle radiazioni, ovvero quello per il cui tramite i morti parlano con i vivi. Ed è li che aspettiamo, tutti insieme, a dispetto delle differenze di età, i carrelli stracarichi di merci colorate. Una fila in movimento lento, gratificante, che ci dà il tempo di dare un’occhiata ai tabloid nelle rastrelliere. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno, che non sia cibo o amore, lo troviamo nelle rastrelliere dei tabloid. Storie di fatti soprannaturali ed extraterrestri. Vitamine miracolose, le cure per il cancro, i rimedi per l’obesità. Il culto delle star e dei morti».