
Per quarant’anni ha guardato l’umanità negli occhi. Oggi il mondo abbassa lo sguardo, in silenzio. E’ morto oggi, a 81 anni, Sebastiao Salgado, il fotografo che ha trasformato la sofferenza in bellezza e la bellezza in coscienza. Con lui scompare una delle voci visive più potenti del nostro tempo, capace di raccontare il dolore senza mai svilirlo, e di celebrare la natura come una preghiera laica.
Il suo obiettivo ha attraversato miniere d’oro e baraccopoli, deserti e ghiacciai, migrazioni bibliche e foreste incontaminate. Ma non ha mai cercato la spettacolarità: cercava l’anima. E l’ha trovata, in ogni volto, in ogni paesaggio, in ogni silenzio.
Le cause della morte
La notizia della sua scomparsa è arrivata in modo inatteso. Le cause ufficiali non sono ancora state rese note, ma la perdita di Salgado ha colpito profondamente il mondo della fotografia, del pensiero ecologista e dell’arte civile. Fino a poco tempo fa era ancora attivo, coinvolto nei progetti del suo Instituto Terra e nella promozione della sua ultima grande opera, Amazônia, un canto visivo per la foresta e le sue genti. Salgado ha fotografato fino alla fine: non per documentare il mondo, ma per proteggerlo.
Una carriera lunga, militante, epica
Nato nel 1944 ad Aimorés, in Brasile, Salgado ha attraversato la seconda metà del Novecento raccontando il mondo con una coerenza rara. Economista di formazione, abbandonò una promettente carriera per seguire la vocazione fotografica: da quel momento, i suoi reportage – pubblicati con agenzie come Magnum e Gamma, e poi in autonomia – hanno fatto il giro del mondo. Workers, Exodus, Genesis e Amazônia non sono solo progetti fotografici, ma veri e propri atlanti dell’umanità, documenti che raccontano l’evoluzione (e l’involuzione) del nostro rapporto con la natura e con noi stessi.
Sebastiao Salgado ha fotografato miniere d’oro e campi profughi, deserti africani e ghiacci artici, cercando sempre l’essenza delle persone, mai la spettacolarizzazione del dolore. La sua cifra stilistica – un bianco e nero profondo, lirico, classico – è diventata un marchio riconoscibile e imitato, ma mai eguagliato.
L’ultima apparizione pubblica
Lontano dai riflettori e dal protagonismo, Salgado aveva sempre scelto la discrezione. La sua ultima apparizione pubblica risale a pochi mesi fa, durante un evento in Brasile legato all’Instituto Terra, dove aveva parlato della riforestazione come “atto poetico e politico”. Appariva sereno, determinato, ancora animato da un’urgenza di testimonianza che non lo ha mai abbandonato. Non c’erano segni di un addio imminente: Salgado sembrava ancora profondamente immerso nella sua missione di guardare e farci guardare.
Reazioni e tributi
La notizia della morte di Salgado ha suscitato un’ondata di emozione a livello globale. Musei, fotografi, intellettuali e attivisti hanno condiviso ricordi e omaggi. “Ha reso visibile l’invisibile, con pietà e potenza”, ha scritto su Instagram un celebre curatore. Il MoMA di New York e la Maison Européenne de la Photographie di Parigi hanno rilanciato i suoi scatti più iconici, mentre sui social migliaia di utenti hanno condiviso immagini dei suoi volti, delle sue mani, dei suoi paesaggi, come se fosse possibile trattenere un po’ della sua eredità.
Con la morte di Sebastiao Salgado se ne va un testimone del nostro tempo, uno sguardo che ha saputo essere denuncia, elegia e speranza. Ma il suo lascito – fatto di fotografie, progetti e alberi piantati – continuerà a parlarci, forse più forte che mai.
E’ di oggi pochi giorni fa la notizia della scomparsa di Dre Love, QUI i dettagli.