
Francesco Acerbi festeggia con i compagni dopo il suo gol del 3-3
Sono le 22.47 del 6 maggio 2025. Allo stadio Giuseppe Meazza di Milano, l’Inter è sotto nel punteggio per tre reti a due contro il Barcellona nella gara semifinale di ritorno di Champions League, ultimo step per l’accesso alla finale che si terrà il 31 maggio a Monaco di Baviera.
Tutto sembra finito, ottantottesimo minuto, ne restano sette alla fine della partita e le speranze di rimonta per l’Inter sembrano ormai definitivamente tramontate. Ma non per tutti.
L’Inter non muore mai
Credo ci siano storie uniche, inimitabili, irriproducibili e commoventi. Quella di Francesco Acerbi, di ruolo difensore centrale, classe millenovecentonovantotto, è una di queste. Dopo aver combattuto nel corso della propria vita mostri che non tutti sanno sconfiggere, un suo gesto ha cambiato le sorti della sua vita, ma anche del calcio intero. Due volte il tumore, la morte del padre, la depressione, l’alcolismo, e la lotta conseguente per ritornare in carreggiata. Minuto novantatré, spintosi nell’area di rigore avversaria, su assist di Denzel Dumfries, rimette, questa volta, in carreggiata la sua squadra. Anzi, la Milano nerazzurra intera (e tutta Madrid). Segnando un gol bellissimo quanto clamoroso, quello del tre a tre. Rinviando ogni tipo di discorso e spegnendo, a Barcellona, e in qualche zona d’Italia, l’inquinamento acustico causato dal terzo gol degli spagnoli, di qualche minuto prima.
Con cuore, coraggio e resilienza, la squadra di Simone Inzaghi, allenatore nerazzurro ormai entrato irrimediabilmente nella storia, l’ha ripresa. Quando tutto sembrava finito, quando la squadra era stanca fisicamente oltre ogni limite, e quando tutti ormai avevano già smesso di crederci.
Accade lì, così, improvvisamente. Come un fulmine a ciel sereno. E ora? Che si fa? La risposta viene giù dagli spalti, piove come l’acqua torrenziale che cade su Milano da pochi minuti.
Ora bisogna vincere!
La chiave per la vittoria
Tutto si resetta, niente è ancora stato compiuto. Ok, tutti sugli spalti sono in lacrime per quello che è appena successo. Ha senso. Passare da uno stato depressivo all’euforia pura è qualcosa che destabilizza. Ma quanto conta? Niente. Conta fare almeno un altro gol, senza subirne.
Ma come fare quando si è a secco di energie? Il corpo rallenta. Il fiato a disposizione pure. Il cuore pulsa per sopperire alla fatica. L’acido lattico è lì, che sta per strabordare.
D’improvviso tutto lo stadio lo sa, lo capisce, lo vede negli occhi dei giocatori. Serve benzina, serve lo spirito, serve ulteriore coraggio, serve un ultimo sforzo.
Pensa a come si possa sentire qualcuno, all’interno di un’arena, con settantacinquemila persone che lo incoraggiano, lo sostengono, e cantano, in lacrime per spronarlo alla vittoria. Ora chiudi gli occhi e mettiti nei suoi panni. La senti? Senti l’adrenalina che ti mangia la stanchezza?
È quello successo sul campo. Improvvisamente, undici calciatori affaticati e in riserva di energie, si aggrappano a quel caos che li preme sull’erba come fosse forza di gravità.
Basta una sola occasione per poter segnare. I calciatori lo sanno, hanno già fatto sei gol al Barcellona tra andata e ritorno, dopotutto.
Sommer lancia lungo, Taremi spizza il pallone, Thuram lo fa suo, punta l’avversario, fa una finta di corpo, lo supera, palla in mezzo. Taremi la riceve e appoggia per Frattesi. Lo stadio urla: “Tira!” Davide Frattesi, il ragazzo “che gioca poco ma fa gol pesanti”, dopo Monaco lo fa ancora, infilando la palla nell’angolo alla destra del portiere, e confermandosi uno “da gol pesanti”. Punteggio di quattro a tre. Da casa, dal televisore, le urla degli interisti soppiantano il volume della tv e alle loro voci si aggiunge il coro delle urla dei settantacinquemila del Meazza.
Rimonta compiuta!
La resistenza, ovvero: Yann Sommer
Vorrei non renderla una storia partigiana. Mi pare eccessivo e fuori luogo. Dopotutto è solo un articolo, e si sta parlando solo di un’impresa sportiva. Gli eroi sono altri.
Però se c’è una cosa che l’Inter sa fare bene è proprio resistere. Contro ogni logica e sciagura. Ed era proprio tutto quel che serviva. Resistere alla furia del Barcellona, per soli venti minuti. Anzi, qualcuno in più.
Se l’Inter non l’avesse fatto, probabilmente questo articolo l’avrei scritto con toni diversi, perché l’impresa non si sarebbe compiuta, nonostante una prestazione pazzesca.
Le raffiche offensive del Barcellona, anche nei venti minuti restanti, smettono velocemente di potersi contare sulle dita delle mani. E così, laddove i difensori nerazzurri non riuscivano a contenere le avanzate gagliarde dei blaugrana, quando tutto sembrava poter andare male, le dita delle mani, questa volta di Yann Sommer, portiere nerazzurro, si erigevano a scudo decisivo. Improvvisamente sembrava che Sommer fosse diventato un supereroe: lo si è visto sul tiro incredibile di Lamine Yamal, al cento quattordicesimo minuto, ma anche in altri interventi provvidenziali. Guardare gli highlights per credere.
Il triplice fischio di Inter Barcellona
Un tripudio senza precedenti. È difficile definire il boato dello stadio dopo il fischio finale in modo diverso da questo. È difficile anche restituire nel modo più limpido possibile tutta la costellazione di emozioni che ha segnato i volti del pubblico.
Lacrime di gioia, abbracci colmi di speranza per una finale che, dopo quella persa ad Istanbul con il Manchester City nel 2023, gli interisti sperano possa andare diversamente. E allora dopo questo miracolo sportivo, perché di questo si parla, oltre che di partita storica, non resta che sognare. E farlo con la consapevolezza di essere un passo dallo scrivere una storia bellissima.
Il countdown per la finale di Monaco di Baviera fissata al 31 maggio, ore 21, contro il Paris Saint Germain, è già partito.