
Il Maestro e Margherita, di Michail Bulgakov, è una delle più meravigliose creature partorite dalla letteratura russa e non un romanzo straordinario definito da Eugenio Montale «un miracolo che ognuno deve salutare con commozione». La stesura di quest’opera impegnò l’autore per svariati anni, dal 1928 al 1940. La prima versione integrale, senza censure, venne pubblicata postuma nel 1973 da una rivista letteraria.
Satana nella Mosca sovietica
La storia si divide in due binari narrativi paralleli. Quello principale, riguarda l’irruzione di Satana nella Mosca degli anni ’30. Microcosmo in cui si riflette l’Unione Sovietica nella sua interezza, il primo Stato al mondo a dichiararsi ateo e che, come corollario di questa sua posizione, provvide alla persecuzione dei religiosi e alla chiusura di chiese, moschee e sinagoghe.
In il Maestro e Margherita, il personaggio di Satana viene privato della sua tradizionale malvagità. Le parole di Bulgakov lo trasformano in uno strumento satirico per beffarsi delle credenze materialistiche dell’URSS. La popolazione atea di Mosca viene sconvolta dall’intervento di questa forza soprannaturale ed incomprensibile, che appare nelle vesti di uno sconosciuto esperto di magia nera. Woland, accompagnato dal suo inquietante seguito (tra cui spicca la figura di Behemoth, un gatto nero in grado di parlare e camminare).
Le intenzioni dell’autore sono esplicite fin dal primo capitolo, in cui Woland si presenta a due intellettuali impegnati in una conversazione circa la inesistenza di Gesù, di Dio e del diavolo. Da ciò si scatenerà un susseguirsi di scene grottesche, figlie del linguaggio gogoliano. Volte a smascherare l’avidità e l’ipocrisia della società sovietica, oltre che a metterne in discussione la pretesa razionalista di avere tutto sotto il proprio controllo.
Il Satana di Bulgakov è un portatore di caos all’interno di un sistema che lo nega e che si regge su di una macchina burocratica ridicola ed inefficiente. Costellata da istituzioni regolate da meccanismi assurdi e guidate da funzionari vigliacchi che non osano prendere decisioni. La burocrazia rappresentata dallo scrittore è pervasa anche da un clima di sospetto e paranoia, che porta alla scomparsa di coloro che possono procurare fastidio. Basti pensare al personaggio di Ivan Nikolaevič, classificato come pazzo e rinchiuso in manicomio per aver osato dire la verità, per quanto assurda fosse.
Satira contro il sistema culturale sovietico
Uno dei bersagli prediletti dalla parodia di Bulgakov è la Massolit, associazione letteraria fittizia dietro la quale si cela l’Unione degli Scrittori Sovietici (USS). Un vero e proprio organo istituzionale fondato nel 1932 per volere di Stalin. Tale aveva lo scopo di controllare la produzione letteraria del paese dettandone le linee guida, basate sui canoni del realismo socialista. Gli scrittori dovevano obbligatoriamente essere iscritti all’Unione per essere riconosciuti e pubblicati. Dando così vita ad un sistema culturale in cui veniva premiato il conformismo ideologico e non il talento artistico.
Durante il regime staliniano molti intellettuali dissidenti vennero deportati e fucilati; lo stesso Bulgakov venne perseguitato dalla censura e parte dei suoi lavori fu vietata. In il Maestro e Margherita, l’USS, come detto in precedenza, compare con il nome di Massolit, ed i suoi membri sono personaggi meschini del tutto privi di genio letterario ed esclusivamente interessati ad ottenere privilegi quali dacie e viaggi. La descrizione della Massolit e della sua lussuosa sede, la casa di Griboedov, è contenuta nel capitolo V. Qui, Bulgakov fa sfoggio della sua tagliente ironia per mettere in ridicolo questo luogo elitario ed autoreferenziale dove dell’arte non v’è alcuna traccia.
Il Maestro e la resistenza dell’artista
Al servilismo degli appartenenti alla Massolit fa da contraltare la figura tragica del Maestro, chiaro specchio autobiografico. Egli è uno scrittore che è stato rifiutato ed emarginato per aver scritto un’opera su Ponzio Pilato, latrice di una dimensione spirituale impossibile da accettare per uno Stato materialista come quello sovietico.
La sua opera viene colpita dalle spietate recensioni dei critici, che pian piano lo portano a sviluppare una malattia psichica. Il Maestro, spinto dalla disperazione, darà alle fiamme il manoscritto del suo romanzo. Al pari di ciò che fece lo stesso Bulgakov che nel marzo del 1930, informato della censura a cui andava incontro la sua opera, ne bruciò la versione originaria all’interno di una stufa. Ma «i manoscritti non bruciano», dirà Woland al Maestro, citazione celeberrima che pone la forza delle idee al di sopra di qualsiasi tentativo di oppressione.
Il Maestro, dunque, incarna la resistenza artistica contro un regime che reprime chiunque abbia un pensiero non uniforme ad esso. Questa, tuttavia, è una resistenza sofferta, che rischia di cadere in uno sconforto rassegnato. Senza la presenza di una figura femminile redentrice, così cara ai grandi romanzieri russi (si ricordi Nataša Rostova per il principe Andrej in Guerra e pace o Sonja Marmeladova per Raskol’nikov in Delitto e Castigo).
Margherita: amore e salvezza
E infatti al fianco del Maestro c’è Margherita, la donna amata, emblema di una devozione così assoluta da seguire il suo compagno nella disgrazia. Tanto da scendere a patti col diavolo in persona pur di ritrovarlo. Margherita porta con sé i segni del sacro e del profano. Assolve alla funzione salvifica della Beatrice dantesca ed allo stesso tempo. Pur di salvare il proprio amato, accetta di confrontarsi con forze demoniache.
Il suo è un amore incondizionato ed assoluto, corrispondente ad una discesa agli inferi per ottenere la pace eterna per entrambi, lontano dalla realtà sovietica che appiattisce e livella ogni cosa su di uno stesso piano. Nessuno potrà mai dare una risposta definitiva su cosa sia l’amore, ma Bulgakov ci fornisce la chiave per comprenderne l’essenza, ovverosia il sacrificio. L’amore nei confronti di un’altra persona si concretizza nel momento in cui si è disposti a rinunciare a parte di sé per il benessere altrui.
Il racconto di Pilato: vigliaccheria e coscienza
Il secondo binario, di minor rilievo, su cui procede il romanzo è il racconto su Ponzio Pilato scritto dal Maestro, una rivisitazione storica della Passione di Gesù Cristo (Yeshua Ha-Nosri) con al centro il procuratore della Giudea. È una rilettura della crocefissione in chiave laica ed umana. Pilato viene rappresentato come un giudice afflitto dal mal di testa e tormentato dalla propria coscienza per non aver fatto nulla per salvare un innocente.
È una storia con cui si intende sottolineare la pavidità morale di Pilato, allegoria del regime staliniano dove verità e giustizia vengono soppresse in nome di un presunto bene maggiore, che spesso coincide con i propri interessi personali. Pilato non agisce perché ha paura di perdere la propria posizione di potere. Non agisce per vigliaccheria, definita più volte all’interno del romanzo quale il vizio peggiore dell’essere umano. Lo sguardo dell’autore verso il procuratore della Giudea è sì di forte condanna, ma è una condanna stemperata dalla compassione verso un uomo che non è riuscito a superare le proprie debolezze e che è imprigionato in un sogno tremendo, nel quale attende di percorrere un sentiero di luna per concludere il colloquio con Yeshua e chiederne il perdono.
Una satira dell’assurdo ancora attuale
Romanzo del fantastico e dell’assurdo, capace di spingere il lettore a meditare sull’oppressione del potere, sul valore della cultura, sull’energia disumana dell’amore, Il Maestro e Margherita si rivela tutt’oggi un baluardo imprescindibile della letteratura mondiale, simbolo di una parola scritta che supera gli ostacoli dello spazio, del tempo e della censura e che conserva la propria forza travolgente, mai anacronistica e sempre attuale.
Grottesco finale: la persecuzione dei gatti neri
Concludo con un breve stralcio del capitolo finale di il Maestro e Margherita , emblematico dello stile provocatorio e surreale di Bulgakov. Woland e il suo entourage demoniaco sono scomparsi, e in tutta Mosca parte la caccia all’uomo. E a Behemoth, l’enorme gatto nero parlante tra gli accoliti di Woland. Per cui civili e poliziotti, nel tentativo di individuarlo, danno vita ad una vera e propria persecuzione di tutti i gatti neri avvistati in città, che si trasforma in un teatro dell’orrore dove i felini vengono arrestati e fucilati. Pochi fortunati riescono a salvarsi:
«Il cittadino portò dunque il gatto alla polizia, trascinando la povera bestia per le zampe legate dalla sua cravatta verde, aggiungendovi qualche piccolo calcio perché il gatto camminasse sulle zampe posteriori.
“La smetta!” gridava il cittadino, accompagnato dal fischio dei ragazzini. “La smetta di far lo stupido! Non le riuscirà stavolta! La prego di camminare come tutti gli altri!”.
Il gatto nero si limitava a girare attorno due occhi da martire. Privato dalla natura del dono della parola, non poteva assolutamente giustificarsi. Il povero animale deve la sua salvezza in primo luogo alla polizia, e quindi alla sua padrona, un’onorata vecchietta vedova. […] Intanto la vecchia, saputo dai vicini che avevano portato via il suo gatto, si precipitò alla polizia e arrivò giusto in tempo per fornire le più lusinghiere notizie sull’animale. Spiegò che lo conosceva da cinque anni, da quando era ancora un gattino, ne rispondeva come rispondeva di se stessa, dimostrò che era sempre stato un buon soggetto e che non era mai andato a Mosca. Era nato ad Armavir, e ad Armavir era cresciuto e aveva imparato a prendere i topi.
Il gatto fu slegato e restituito alla sua padrona, dopo un’amara esperienza, però: ora aveva saputo a sue spese cos’erano l’errore e la calunnia».