
Cinque quesiti, milioni di elettori chiamati a decidere al referendum dell’8/9 giugno, eppure niente quorum. Alla fine, il silenzio ha vinto ancora. L’ultimo dato parla chiaro: 29,6% di affluenza, secondo quanto rilevato dal Ministero dell’Interno alle 15:00 di oggi, quando le urne si sono chiuse. Un numero che pesa come una sentenza. Al referendum il quorum del 50% non è stato raggiunto. I referendum sono nulli. Ancora una volta, la democrazia diretta si è schiantata contro l’indifferenza collettiva.
Un déjà-vu che lascia l’amaro
Chi ha memoria recente ricorderà i referendum sulla giustizia del 2022, o quelli sul nucleare e l’acqua pubblica più indietro nel tempo. Alcuni ce l’hanno fatta. Molti no. Questo fallimento brucia perché tocca la cittadinanza, il lavoro, la scuola. Temi quotidiani, vitali. Ma evidentemente non abbastanza da portare gli italiani al seggio.
E così, le riforme restano sulla carta. Le domande restano sospese. E con loro, le risposte che non arriveranno mai.
Voti non espressi, domande ignorate
La parte che fa più male? Sapere che migliaia di attivisti, studenti, lavoratori si sono spesi per informare, per convincere, per smuovere. Ma non è bastato. Molti cittadini non sapevano nemmeno di dover votare. Altri hanno preferito la spiaggia, o il silenzio. Qualcuno, più cinico, ha detto: “Tanto non serve a niente”. Forse è questo il problema.
Il disinteresse non nasce ieri. È figlio di anni in cui la partecipazione è stata svuotata di significato, e i meccanismi democratici trattati come un esercizio formale.
Una scelta che parla alla sfiducia, non al futuro
La politica ci ha messo del suo. Pochi volti istituzionali si sono davvero spesi per i referendum. I media, distratti da calcio e gossip, li hanno relegati in fondo ai telegiornali. I partiti, divisi o ambigui, hanno preferito non esporsi. E allora perché stupirsi se i cittadini non ci hanno creduto?
Questo voto – o meglio, questo non-voto – parla di una crisi profonda di fiducia. Non nella democrazia in sé, forse, ma in chi la rappresenta. In chi dovrebbe renderla viva.
Chi paga davvero il prezzo
Non sarà la politica di palazzo a pagarne le conseguenze. Sarà il Paese reale. Gli studenti che chiedevano maggiore rappresentanza, i lavoratori precari che speravano in nuove tutele, gli stranieri nati in Italia che sognavano la cittadinanza. Per loro, oggi, non cambia nulla. Eppure doveva cambiare tutto.
Abbiamo perso un’occasione. Ancora una volta. E ogni occasione mancata pesa più della precedente.
Una scelta che dice molto su chi stiamo diventando
Alla fine, non si tratta solo di quorum e percentuali. Si tratta di chi vogliamo essere come Paese. Di quanto siamo disposti a prenderci cura della cosa pubblica, a partecipare, a scegliere.
Oggi, purtroppo, abbiamo scelto di non scegliere. Ma forse – e lo dico con una punta di ostinata speranza – non è troppo tardi per cambiare rotta.