
Conclave (2024), per la regia di Edward Berger, è un’opera che calza a pennello col momento storico che stiamo attraversando, segnato dalla recente scomparsa di Papa Francesco e dall’imminente elezione del prossimo pontefice. Con “conclave” – dal latino cum clave, “(chiuso) con la chiave” – s’intende la riunione dei cardinali elettori chiamati ad eleggere il nuovo papa. Riunione che si tiene all’interno della Cappella Sistina e che è caratterizzata da un protocollo molto severo che prevede, per esempio, il divieto assoluto da parte dei cardinali di avere qualsiasi contatto con l’esterno.
Immersione e tensione
Il punto di forza del film è la capacità di trasportare lo spettatore in questo luogo ricco di fascino e di mistero dove viene deciso chi sarà il prossimo vicario di Cristo sulla terra, e Berger riesce perfettamente in questo suo intento adoperando un reparto tecnico di ottimo livello supportato da una sceneggiatura incerta ma in grado di avviluppare chi sta guardando nelle morse di una tensione incalzante e mai allentata.
Intrighi e umanità
Questa tensione è costruita attorno a dei veri e propri intrighi politici per ottenere il seggio pontificio. I cardinali elettori, che idealmente dovrebbero essere i campioni delle virtù evangeliche, rivelano una natura propriamente umana, incline alle debolezze e al cedimento verso i propri interessi personali.
Una guerra dietro le mura
E il conclave, infatti, diventa teatro di guerra tra fazioni politiche che combattono tra di loro a colpi di segreti e sotterfugi. Guerra che si consuma in ambienti suggestivi e claustrofobici dove si avverte più la presenza della meschinità umana che quella dello Spirito Santo. Fin dall’inizio il film dichiara la volontà di “smascherare” i più alti rappresentanti della Chiesa cattolica, mostrandoli come esseri umani al pari di tutti gli altri, e qui Berger scade in un parziale didascalismo in quanto nel 2025 non c’è nulla di stupefacente e scandaloso nel constatare che certe nefandezze vengono compiute persino in Vaticano.
Una Chiesa da ripensare
Al giorno d’oggi, anzi, è più rivoluzionario essere orgogliosamente cattolico piuttosto che puntare il dito contro la Chiesa, omertosa sui casi di pedofilia e portavoce di valori tradizionali che cozzano contro certi diritti umani e civili, giustamente difesi a spada tratta dalle nuove generazioni che reclamano la necessità di una visione progressista anche all’interno delle istituzioni ecclesiastiche, rigidamente vincolate ad un passato che non esiste più.
Un finale debole ma un protagonista solido
Il film tenta di abbozzare questa visione progressista nell’elezione finale del conclave, la quale però risulta frettolosa e ampiamente prevedibile, oltre che pregna di un supposto simbolismo che può voler dire tutto quanto nulla. Nota di merito per la recitazione di Ralph Fiennes, che interpreta il decano Lawrence, un uomo tormentato da dubbi spirituali e su cui ricade la pesante responsabilità di guidare il conclave nella direzione più giusta per il futuro della Chiesa.
Un cast d’eccezione poco valorizzato
Anche il resto del cast – Stanley Tucci, John Lithgow e i nostrani Sergio Castellitto ed Isabella Rossellini – non è da meno nel coro delle sue prove attoriali, ma si tratta di personaggi che non godono di alcun focus di approfondimento, e le macchinazioni ordite da alcuni di essi sono scarsamente sviluppate. È un film che comunque è godibile e funziona, ma certe scelte semplicistiche della sceneggiatura ne riducono il potenziale.