
Sulla metro di Milano si sta davvero schiacciati come sardine, ed è frustrante. Ma lo è ancora di più non potersi fare gli affari propri.
Sapete? È veramente stressante. O meglio, lo era. Mi riferisco alla vita da pendolare. Ogni giorno, sulla metro di Milano, sempre schiacciato tra gli altri, i finestrini o le porte. Forse più che stressante era fastidioso.
Sarà questo un articolo molto personale. Direi una ‘questione privata’, come il libro di Fenoglio. Le sardine, in realtà, non c’entrano granché (forse solo all’inizio), ma mi piaceva semplicemente il titolo (mi perdoni Ungaretti). Oh, giusto: essendo una cosa personale, chiunque sia arrivato fino a qui e di quello che pensano gli altri non interessa, può smettere di leggere. Ma dopo arriverò anche a questo.
Essere sardine sulla metro non lo spaccerò come fattore di denuncia sociale, del tipo che ci vorrebbero più metro, ma più come uno status che comporta alcune rotture. Una di queste l’ho vissuta purtroppo ieri, nel viaggio di andata per raggiungere la Statale. Sarò franco: è stata una toccata e fuga, ho finito quasi un anno fa, ma ogni tanto torno all’ovile perché è divertente. Non sono qui, però, a scrivere questo articolo per spiegare come spassarsela in università, bensì quello che può capitare prima, o dopo.
La maledizione dei pendolari della metro di Milano
Durante il tragitto in metropolitana possono succedere tantissime cose, ma innanzitutto, e perlopiù, si sperimenta come si possano sentire le sardine nelle scatolette. Mi correggo: come si potrebbero sentire se fossero vive all’interno di quelle scatolette.
Arrivando sulla banchina della fermata di Milano Centrale FS, sembra che tutto il mondo si trovi lì, in quel momento, a quella maledettissima ora. E che tutti, forse per congiunzioni astrali uniche, debbano trovare altri conoscenti, o amici, prima di salire. E per forza di cose tutti questi debbano tenere sulle proprie spalle i propri zaini, quando potrebbero tranquillamente tenerli in mano, evitando di esser scippati. Così facendo, ci sarebbe anche più spazio per muoversi e respirare, ma vaglielo a spiegare. Ci sarebbe anche più spazio per farsi gli affari propri. Ed è proprio questo il punto su cui vorrei soffermarmi, che mi ha dato l’idea per scrivere questo articolo.
Non sono uno che si fa gli affari degli altri, soprattutto di quelli che non conoscevo affatto e che nemmeno sapevo esistessero un secondo prima. Sono molto curioso in generale, ma rispetto la vita privata di tutti. È solo che a volte non posso farci niente.
Spiaccicato contro i finestrini della metro che avanza, se tutti guardano il proprio cellulare davanti a me, cosa dovrei fare? In qualsiasi punto io possa guardare, a parte il cielo, c’è qualcuno con in mano il proprio telefono. E, dato che non scende mai alcuna divinità, non ha senso che io guardi in alto. E il bello è che la gente si indispettisce. Comunque, fosse questo il punto della situazione, tutte queste parole sarebbero sprecate. Ma ieri, nello specifico, è successo altro.
Empatia portami via
Salendo, come di consuetudine, alla fermata di cui parlavo prima (la più affollata del mondo), a causa della metamorfosi in sardina mi sono ritrovato di fronte a due persone che avrei volentieri evitato, ma non potevo spostarmi.
Un ragazzo e una ragazza (due universitari) stavano esattamente davanti a me. Tra i due, dopo essersi salutati, e aver scambiato due frasi, improvvisamente era calato il silenzio. Un silenzio atroce, avvilente, fastidioso, insopportabile, da pelle d’oca, imbarazzante. Era così tanto imbarazzante che avrei voluto essere una sardina morta nella scatoletta. E invece ero vivo. E quei due non solo non parlavano. Lei avrebbe voluto farlo, ma era in soggezione, e si limitava a guardarlo, arrossando. Lui invece aveva l’aria spocchiosa, da ‘chi ne sa di più’, ma in realtà, di ‘più’, meritava solo qualche schiaffo. Sembrava una trasmissione di Maria De Filippi interminabile, che non avrei voluto vedere, ma non avevo il telecomando per spegnere la TV.
Da Centrale a Missori, fermata per raggiungere la sede principale dell’università, la distanza è di cinque fermate. Cinque maledettissime, e interminabili, fermate. Parlando in termini di tempo effettivo, sulla decina di minuti. Tutti trascorsi in quel modo lì.
Io posso capire tutto: probabilmente tra i due non c’era feeling, o non erano così tanto amici, e lui era un saccente, mentre lei tipo timida. Ma un po’ di empatia? Per quanto si possa essere egocentrici è così difficile percepire il disagio altrui? Non sto dando la colpa a nessuno, sia chiaro, ma a volte basta un pizzico di buona volontà in più per essere persone migliori. Potevo intervenire? Forse, ma purtroppo a trent’anni, per certe cose, non vale più la pena.
E per concludere, un pensiero ESCLUSIVAMENTE personale
Vorrei dire un’ultima cosa, non più sulle sardine o sulla metropolitana, ma su un altro argomento che trovo davvero fastidioso. Vado dritto al punto: il mondo è pieno di gente stucchevole. Troppe persone pensano solo a se stesse. Ipocrisia, superficialità, narcisismo, opportunismo, cinismo… la quotidianità ne è piena. Eppure vedo questi stessi individui denunciare gli altri per gli stessi peccati, e mi viene da ridere.
Mi spiego meglio con un esempio che vedo spesso: le persone che non rispondono ai messaggi, o che lo fanno dopo giorni. Non sono affatto impegnate, come spesso giustificano. Di Elon Musk, che hanno più impegni in agenda di quanto respiri facciano al giorno, ce ne sono pochi. Il 99,9999% delle persone non fa parte di quella cerchia. Chiunque, che lavori, studi o abbia impegni, trova il tempo per rispondere. Il vero problema sta altrove: menefreghismo e opportunismo.
Mi dispiace vedere chi ci resta male, vittima di chi guarda solo al proprio tornaconto. La verità? Non c’è una soluzione. Bisogna farsene una ragione. Chi finge di interessarsi quando ti vede, ma poi non lo fa dietro lo schermo, è una persona di poco valore.
Il mondo non è pieno di rompiscatole che non meritano risposta, ma di superficialità. E queste persone sono esperte, a livello C2, in questa disciplina (e non solo).
Ed è sbagliato, perché non sono i libri o i romanzi a farci vivere storie che non vivremo mai, ma le conversazioni reali con altre persone. O almeno, questa è la mia opinione. E io non sono nessuno, come tutti del resto.
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