
Cecità e potere sono le due metafore che tengono insieme i nuclei di potere contemporanei.
Prima un automobilista disperato, poi un passante, poi una ragazza dagli occhiali scuri, un vecchio dalla benda nera, un bambino. Tutti perdono la capacità di vedere, e immediatamente dopo anche amore, altruismo, benevolenza.
Inizialmente il morbo, monitorato dalle autorità, viene goffamente trattenuto in manicomi abbandonati. Uomini, donne, bambini e vecchi ammassati come bestie in attesa del macello. Serve a poco, dal momento che la cecità si espande anche fuori. La città diventa da un giorno all’altro un serbatoio di totale disumanità. Anche innocenti cani addomesticati ne approfittano per rivelare la propria vera natura animalesca, affondando denti nei cadaveri di sventurati, morti per fame, incapaci di trovare un supermercato e la strada di casa.
Di questo parla nel suo libro, Cecità, Josè Saramago. Durante la lettura, ho avvertito il totale sventramento dei valori più sani e l’emersione della vera natura dell’essere umano. Quella di essere o fottuti o fottitori. Se sei il fottuto ci rimani secco, subisci mutilazioni nella dignità e, probabilmente, anche fisiche. Se sei fottitore, invece, diventi il capo e inizi ad impartire ordini fino a quando non ti va via la voce. Circondandoti anche di fidati oligarchi disposti a sporcarsi le mani per te.
L’unico cieco che nel libro possiede un’arma, durante la detenzione iniziale in manicomio, obbliga periodicamente a organizzare orge con donne in cambio di cibo. Unico possessore delle casse di viveri, diventa improvvisamente Dio, anche se questo significa, per i disgraziati che soccombono, sacrificare innocente carne femminile.
La cecità letteraria di Saramago si accosta perfettamente con quella di Carl Schmitt, il teorico e filosofo che ha posto le basi del nazionalsocialismo.
Schmitt era un giovane professore universitario. Si avvicinò all’idea del nazismo come base forte di consenso. Ciononostante, il teorico custodì sempre dentro di sé un’antipatia verso quel folle di Hitler, non espressa pubblicamente.
Ad ogni modo, Schmitt arrivò a partorire una formula universale di controllo e comando, che non fa distinzioni di nessun tipo: lo stato d’eccezione.
Sono molte le definizioni e molti gli elementi di questa particolare quanto diffusa condizione umana. Lo stato d’eccezione potrebbe definita una forma di governo che implica la formazione di una quotidianità alternativa, verso cui la cittadinanza deve sentirsi al sicuro. In tutto questo, però, il Governo si comporta come un enorme sanguisuga. Fa credere di proteggere e tutelare i propri cittadini da una situazione imprevista e spaventosa, e in cambio assorbe i diritti fondamentali dei cittadini. Libertà d’espressione, di stampa, di giudizio, proprietà privata.
I Governi di tutto il mondo non hanno a cuore il benessere, la felicità, l’auto-realizzazione e il futuro dei propri cittadini.
Insieme allo stato d’eccezione si avverte quell’indegna sensazione di securitizzazione, come l’ha chiamata Zygmunt Bauman. Secondo questa, i politici mostrano con orgoglio solo ciò che possono e vogliono sistemare, presentandosi come saggi statisti. Lavorano instancabilmente su una determinata questione verso cui la maggior parte del popolo nutre ansie e timori da tempo, in modo da tenerlo sotto scacco. Il resto, ben più importante, che renderebbe davvero la vita della popolazione notevolmente migliore, lascia il tempo che trova.
Quando inizia uno stato d’eccezione, afferma Schmitt, il capo supremo, in questo caso Adolf Hitler, verrà visto come il Messia. “Lo stato d’eccezione ha per la giurisprudenza un significato analogo al miracolo per la teologia”. Significa che il capo supremo è paragonabile a Dio per i più fedeli accoliti. Questo lo avvertiva pesantemente Joseph Goebbles, il ministro della propaganda nazista che venerava Hitler al punto che, al momento dell’arrivo dei russi a Berlino, preferì far fare alla sua famiglia la fine del suo capo piuttosto che lasciarla ad un mondo senza Führer. Il capo è colui il quale crea e decide una nuova temporalità nella quale tutti sono chiamati a vivere, impegnarsi e non farsi domande. È quello che dirige i lavori, impartisce ordini e sovverte i normali ritmi sociali attraverso una normalizzazione dell’emergenza. Questo perché la decisione del capo è l’atto giuridico che crea la legge.
Nello stato d’eccezione si profila anche un nuovo elemento: la costruzione del nemico. Un popolo senza nemico è come un burattino senza fili: fisicamente c’è, ma non reagisce, non crea. Per questo sono stati importanti i roghi delle streghe e degli eretici nel corso del ‘400, il massacro di ebrei e oppositori politici nei campi di sterminio, i socialisti e i dissidenti rinchiusi nei gulag sovietici da Stalin.
In tutto questo ritorna la cecità inizialmente espressa nell’opera di Saramago. Quell’unico cieco armato, detentore del potere di controllare e tenere sotto scacco altre vite.
“Noi siamo ciechi che, pur vedendo, non vedono” afferma uno dei personaggi dell’opera.
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