
Foto di Harald Krichel, rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0. Fonte: Wikimedia Commons
The Brutalist è un film del 2024 diretto da Brady Corbet, arrivato nelle sale cinematografiche italiane il 6 febbraio di quest’anno. Si tratta di un’opera dalla durata monumentale – ben 3 ore e 35 minuti. Ha ottenuto grande visibilità grazie al trionfo ai Golden Globes e alle 10 candidature agli Oscar, in programma per il prossimo 2 marzo.
Corbet gira il film in pellicola 35mm, in formato VistaVision, e realizza l’intero progetto con un budget di appena una decina di milioni. Questo dato fa intuire almeno in parte lo strepitoso lavoro che la produzione fa dietro e davanti la macchina da presa. Realizzare un kolossal simile con un budget così ridotto non è impresa da tutti. “Abbiamo tagliato ogni angolo possibile per assicurarci che ogni singolo centesimo finisse sullo schermo”, spiega Corbet a Variety.
La trama
Il film racconta la vita di un personaggio storicamente inesistente, interpretato da un magistrale Adrien Brody: Laszlo Toth. È un ebreo ungherese sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti, che nel 1947 emigra negli Stati Uniti per lasciarsi alle spalle il dolore della Shoah e cercare di costruirsi una nuova vita.
Nell’ambita terra dell’American Dream, Laszlo sfrutta le opportunità che gli capitano. Inizia a lavorare per il magnate Harrison Van Buren (Guy Pearce). Quest’ultimo, informandosi sul conto dell’esule, scopre che quest’ultimo, prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, godeva fama di illustre architetto.
Van Buren, apprezzando il genio artistico di Laszlo, decide di aiutarlo. Lo mette a capo di un progetto per costruire un monumento colossale in onore della madre defunta. Tutto procede per il meglio: il sogno americano non appare più come una vana promessa. Si mostra come qualcosa di tangibile, visibile, concreto, che si presenta di fronte agli occhi dello spettatore con tutta la sua seducente energia.
Laszlo, però, pian piano prende coscienza della dura realtà che costituisce questo microcosmo, esteriormente ricoperto di felicità e successo. Questo opulento mondo oltreoceano rivela di essere nient’altro che una nuova forma di prigionia e discriminazione, ben più subdola e maligna rispetto ai grandi blocchi di cemento dei lager tedeschi.
Il cemento rappresenta una parte integrante del significato del film, il cui titolo, The Brutalist, rimanda chiaramente alla corrente architettonica del brutalismo. È nata negli anni Cinquanta del Novecento e prende il nome dal béton brut, letteralmente il cemento grezzo. La sofferenza del protagonista e l’architettura convergono l’una verso l’altra, creando un binomio inscindibile. Corbet porta tutto sullo schermo tramite una messa in scena magnificente, adeguatamente supportata da una colonna sonora da brividi.
Il commento
È un film che, al netto di alcune scelte narrative eccessivamente didascaliche, raggiunge perfettamente il suo intento: racconta in modo desolante l’intolleranza nelle sue forme più meschine, mostra un sogno americano che si sgretola e va in frantumi, rappresenta il naufragio psicologico di un uomo circondato da animali che si fingono uomini e lo guardano come se fosse lui la bestia impossibile da accettare.
Un film duro ma non spietato, perché la speranza non svanisce mai del tutto e trova rifugio nel valore assoluto dell’arte. L’arte è il monumentum perennis di oraziana memoria, capace di sopravvivere nel tempo e di andare oltre le esistenze dei singoli uomini e le atrocità da loro perpetrate.
QUI la nostra recensione di Past Lives.