
Pubblicato solamente pochi giorni fa, “La piccola libreria ai piedi della montagna” credo possa tranquillamente essere definito come una piccola perla. In effetti, quello che potrebbe essere un classico romanzo dai toni semplici e dalla trama che si lascia leggere senza troppi spunti di riflessione, si rivela l’esatto opposto.
Ma ci torneremo.
La trama
Stanca del caos di Seul e delle promesse infrante, Haewon lascia alle spalle la città per rifugiarsi a Bukhyeon, il villaggio di montagna dove è cresciuta. Il ritorno, tuttavia, non è assolutamente quello che aveva immaginato. La pensione di famiglia, un tempo accogliente, ora cade a pezzi, avvolta da un silenzio polveroso, e sua zia Myeongyeo sembra essersi chiusa in una corazza impenetrabile.
Tra il freddo dell’inverno e il peso dei ricordi, Haewon si sente un’estranea nella sua stessa casa. Poi, una sera, trova la libreria Goodnight. Un angolo di luce nella notte, un rifugio di carta e inchiostro per anime inquiete come la sua. A gestirla è Eunseop: un suo vecchio compagno di scuola dal cuore gentile, che riempie gli scaffali di storie, nonché il suo blog di pensieri scritti con la delicatezza di chi osserva senza farsi notare.
Nella piccola comunità della libreria, Haewon trova nuovi legami: Hyeonji, ribelle e affamata di vita; il piccolo Seungho, che colleziona fumetti come tesori; Jangwoo, concreto e leale; e Sungjeong, che legge romanzi d’amore come se cercasse delle risposte tra le pagine. Tra tazze di tè fumante e parole sottolineate nei libri il legame tra Haewon ed Eunseop cresce con la pazienza delle cose vere. Quelle che non hanno bisogno di essere urlate per esistere.
Ma il passato non resta in silenzio: la pensione di famiglia è a un bivio, e segreti dimenticati tornano a galla, costringendo Haewon a fare i conti con ciò che pensava di aver lasciato indietro. Anche Eunseop ha le sue ombre da affrontare. Insieme, dovranno decidere se restare prigionieri di ciò che è stato o se costruire qualcosa di nuovo. Forse l’amore, come i libri più belli, ha bisogno di tempo per essere davvero compreso.
Il commento
L’opera di Lee Do-woo, scrittrice coreana classe 1969, ha una forza comunicativa e sentimentale – tipica dei romanzi orientali -, in cui prevalgono emozioni e sensazioni, oltre che agli aspetti naturali e apparentemente semplici della quotidianità.
Le descrizioni degli ambienti circostanti Haewon, nonché degli altri personaggi, contraddistingue la narrazione sottolineando quanto quella realtà, completamente diversa ormai dalla sua da adulta, possa riservare delle piacevoli sorprese. E la conoscenza del vecchio compagno di classe, ma pure di tutta la restante costellazione della comunità (o club) appartenente a quella piccola realtà, va proprio in quella direzione. Tutto pare armonioso: dallo stile di scrittura adottato, allo sfondo delle vicende, fino ad arrivare alle vicende stesse.
Come dissi qualche giorno fa nella recensione di Past Lives, le storie che meglio funzionano agli occhi del pubblico sono quelle verosimili, cioè che chiunque di noi potrebbe vivere. D’altra parte l’immedesimazione aiuta, e non poco, il lettore ad apprezzare ed empatizzare con i personaggi.
Lo scorrere della vita di Haewon, di fatto, dalla prima all’ultima riga del romanzo, non si scosta mai dal binario della verisimiglianza. Ed è questa una fortuna. Quello che invece stona, ma in senso positivo, è il destino che l’attende: quel passato che ritorna non solo cullando la nostalgia della donna, ma evidenziandone anche le sfumature meno piacevoli.
La sua lotta con il passato che riaffiora, tra rimpianti e segreti, è resa con grande abilità, costringendo il lettore a riflettere sulla possibilità, o necessità, di liberarsi dai fantasmi passati.
E’ qui che la piccola libreria ai piedi della montagna funziona meravigliosamente, scostandosi dall’esser un romanzo carino, “rileggibile”, leggero, all’essere uno di quelli che lasciano il segno, e che meritano un posto in prima fila nella propria libreria di casa.